giovedì 19 agosto 2010

lunedì 2 agosto 2010

la fuga di fini

da corriere.it
Il conflitto da evitare
LO SPETTRO DI UNA CRISI ISTITUZIONALE
Il conflitto da evitare Con l’espulsione di Gianfranco Fini dal Popolo della libertà, un conflitto tutto interno a un partito (fra due persone, Fini e Berlusconi) si è trasferito all’esterno, in Parlamento (fra due istituzioni, presidenza della Camera e presidenza del Consiglio). La (nuova) situazione sembra eccitare la società civile, non tanto divisa fra berlusconiani e finiani — la qual cosa sarebbe ancora uno scenario politico — quanto fra berlusconiani e antiberlusconiani, che è la sindrome dell’isteria collettiva di cui soffre il Paese. Da parte del giornalismo liberal — che ama dettare la linea all’opposizione — si suggeriscono a Fini, come presidente della Camera, persino ritmi e modalità per rendere difficile la vita al governo. Si tratta di far fuori il «caimano» e ogni mezzo è lecito. La separazione dei poteri, le garanzie costituzionali, insomma, il liberalismo, sono temporaneamente sospesi da coloro i quali — dopo essersi autoproclamati i soli, autentici e rigorosi custodi della Costituzione e della coscienza civile del Paese — conferiscono all’istituzione che regola i lavori del Parlamento un mandato «politico» che non le compete: far cadere il governo. Non è solo una contraddizione rispetto a quanto sostenuto finora, ma anche e soprattutto, una manifestazione di irresponsabilità. Il giornalismo fiancheggiatore del centrodestra non è da meno: invita il presidente del Consiglio a delegittimare quello della Camera, assegnandogli un ruolo che sarebbe, poi, nei fatti, una sorta di (improbabile) edizione nazionale del caudillismo sudamericano. Anche qui siamo fuori del tutto da ogni prassi giornalistica in una democrazia liberale matura. Non è compito di un giornale tenere in sella o disarcionare un governo e, tanto meno, sobillare conflitti fra istituzioni. Come è nella tradizione del Corriere, mi limito a fornire ai lettori una interpretazione di quanto sta accadendo. Un fantasma si aggira nel Palazzo. È lo spettro di una crisi istituzionale. Pare non preoccupare nessuno, nella realistica, e un po’ cinica, convinzione che, dopo tutto, per dirla con Longanesi «gli italiani sono estremisti per prudenza». Essa fa aleggiare, però, su Pdl e Pd un esito devastante e, sulla stabilità del sistema politico, un risultato surreale: la crisi di rappresentanza sia dei ceti moderati (per implosione del Pdl) sia di quelli di sinistra riformista (per dissoluzione del Pd). Si dice che la «fine della politica», esemplificata dalla fine del bipolarismo, lascerebbe spazio alla nascita di un «Centro», una specie di anacronistica riedizione della vecchia Democrazia cristiana senza la presenza del Partito comunista. Ma il «centro» è un luogo sociale — dove già adesso cercano di convergere elettoralmente parte del Pdl e parte dello stesso Pd — non è un progetto politico. Lo era la «giusta via di mezzo» della politica liberale cavouriana. Ma erano altri tempi e Cavour proprio un’altra cosa. Piero Ostellino] LO SPETTRO DI UNA CRISI ISTITUZIONALE
Il conflitto da evitare

LO SPETTRO DI UNA CRISI ISTITUZIONALE

Il conflitto da evitare

Con l'espulsione di Gianfranco Fini dal Popolo della libertà, un conflitto tutto interno a un partito (fra due persone, Fini e Berlusconi) si è trasferito all'esterno, in Parlamento (fra due istituzioni, presidenza della Camera e presidenza del Consiglio). La (nuova) situazione sembra eccitare la società civile, non tanto divisa fra berlusconiani e finiani — la qual cosa sarebbe ancora uno scenario politico — quanto fra berlusconiani e antiberlusconiani, che è la sindrome dell'isteria collettiva di cui soffre il Paese. Da parte del giornalismo liberal — che ama dettare la linea all'opposizione — si suggeriscono a Fini, come presidente della Camera, persino ritmi e modalità per rendere difficile la vita al governo. Si tratta di far fuori il «caimano» e ogni mezzo è lecito. La separazione dei poteri, le garanzie costituzionali, insomma, il liberalismo, sono temporaneamente sospesi da coloro i quali — dopo essersi autoproclamati i soli, autentici e rigorosi custodi della Costituzione e della coscienza civile del Paese — conferiscono all'istituzione che regola i lavori del Parlamento un mandato «politico» che non le compete: far cadere il governo. Non è solo una contraddizione rispetto a quanto sostenuto finora, ma anche e soprattutto, una manifestazione di irresponsabilità.

Il giornalismo fiancheggiatore del centrodestra non è da meno: invita il presidente del Consiglio a delegittimare quello della Camera, assegnandogli un ruolo che sarebbe, poi, nei fatti, una sorta di (improbabile) edizione nazionale del caudillismo sudamericano. Anche qui siamo fuori del tutto da ogni prassi giornalistica in una democrazia liberale matura. Non è compito di un giornale tenere in sella o disarcionare un governo e, tanto meno, sobillare conflitti fra istituzioni. Come è nella tradizione del Corriere, mi limito a fornire ai lettori una interpretazione di quanto sta accadendo. Un fantasma si aggira nel Palazzo. È lo spettro di una crisi istituzionale. Pare non preoccupare nessuno, nella realistica, e un po' cinica, convinzione che, dopo tutto, per dirla con Longanesi «gli italiani sono estremisti per prudenza». Essa fa aleggiare, però, su Pdl e Pd un esito devastante e, sulla stabilità del sistema politico, un risultato surreale: la crisi di rappresentanza sia dei ceti moderati (per implosione del Pdl) sia di quelli di sinistra riformista (per dissoluzione del Pd).

Si dice che la «fine della politica», esemplificata dalla fine del bipolarismo, lascerebbe spazio alla nascita di un «Centro», una specie di anacronistica riedizione della vecchia Democrazia cristiana senza la presenza del Partito comunista. Ma il «centro» è un luogo sociale — dove già adesso cercano di convergere elettoralmente parte del Pdl e parte dello stesso Pd — non è un progetto politico. Lo era la «giusta via di mezzo» della politica liberale cavouriana. Ma erano altri tempi e Cavour proprio un'altra cosa.

Piero Ostellino